LE CRITICITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA

Articolo di Natale Forlani

1 gennaio 2024

Dopo il recupero delle perdite dei posti di lavoro registrato nel corso dell’emergenza Covid 19, realizzato nel primo semestre del 2022, l’occupazione  è continuata a crescere ad un ritmo  superiore a quello dell’economia e un  saldo positivo  di mezzo milione di posti di lavoro nell’anno in corso.  Le recenti  stime dell’Istat per il 2024, pubblicate, il 5 dicembre u.s., prevedono un’ulteriore crescita dello 0,8% del numero degli occupati equivalenti al tempo pieno. Che tradotto nel numero dei rapporti di lavoro di varia natura, anche a tempo parziale o autonomo,  potrebbe consentire al nostro mercato del lavoro di incrementare di ulteriori 2 punti percentuali il tasso di occupazione e di superiore i 24 milioni di lavoratori occupati, in assenza di eventi che possono comportare dei traumi negativi per l’economia.

Alcuni tratti della crescita dei posti di lavoro rispetto al mese di gennaio 2020 che precede l’avvento della pandemia Covid, in particolare quelle che riguardano:  i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, la  componente femminile e dei giovani under 34 anni,  hanno caratteristiche strutturali, destinate ad incrementare nei prossimi anni.

I tratti positivi della crescita occupazionale rappresentano il frutto paradossale di due aspetti negativi del nostro mercato del lavoro: la riduzione della popolazione in età di lavoro per motivi demografici e l’aumento della quota dei profili professionali richiesta dalle imprese che non trova riscontro nell’offerta di lavoro disponibile. La prima criticità favorisce un aumento della domanda di giovani e donne che rappresentano i tre quarti dei potenziali bacini di forza lavoro che risultano sotto utilizzati. Le carenze di lavoratori che riscontrano i fabbisogni delle imprese incentivano le imprese a migliorare l’ utilizzo delle risorse umane già disponibili, che trova riscontro nell’aumento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e nel numero delle aziende  che sta attivando i  percorsi di formazione e di aggiornamento dei propri dipendenti. Queste politiche per la gestione delle risorse umane comportano anche un positivo effetto anticiclico per l’andamento generale dell’occupazione anche nelle fasi di carenza degli ordinativi, nella gestione flessibile degli orari di lavoro nel corso dell’anno e  con l’ utilizzo temporaneo degli ammortizzatori sociali in costanza del rapporto di lavoro.

In parallelo a questi mutamenti  positivi nella gestione del personale da parte delle imprese devono essere considerati anche i fattori che generano nuovi  squilibri nel mercato del lavoro. Aumentano sul piano quantitativo e qualitativo le opportunità per i lavoratori dotati di robusti percorsi professionali, o che si rendono disponibili a svolgere le mansioni richieste, e la mobilità dei lavoratori verso le aree economiche più attrattive ma si riducono le possibilità di accesso al  lavoro per le persone disoccupate e inattive che non riscontrano le caratteristiche della domanda di lavoro. Una buona  parte delle imprese dei settori ad alta intensità di lavoro, dà per scontata l’esigenza di dover compensare il turn over per le mansioni esecutive  generato dall’esodo pensionistico dei lavoratori anziani, assumendo nuovi  immigrati.

L’impatto sulle strategie economiche è altrettanto rilevante. La carenza di  professionalità adeguate, comprime la possibilità di innovare i processi produttivi e di espandere le attività economiche. La gravità di questa problema, derivante dai ritardi del nostro sistema formativo, è sottolineata anche  dall’enorme difficoltà delle pubbliche amministrazioni di reperire ingegneri, progettisti, informatici, personale per il controllo della qualità per la gestione dei processi in grado di attivare le risorse del Pnrr. Gli squilibri del mercato del lavoro incrociano quelli in atto tra le  imprese e i settori altamente competitivi, che si distinguono per la crescita degli investimenti e della produttività e dei salari, rispetto alle attività di molti comparti dei servizi si mantengono redditizie comprimendo i costi del lavoro anche con l’ utilizzo delle prestazioni sommerse.

È la spiegazione fondata delle cause della stagnazione della produttività e dei salari in Italia, del sottoutilizzo delle risorse tecnologiche e umane che caratterizzano interi settori dell’economia e del mercato del lavoro,  del mancato ricambio generazionale in diversi segmenti del lavoro autonomo e delle piccole imprese.

Buona parte delle politiche economiche e del lavoro continuano ad essere sovrastrutturali rispetto all’evoluzione dei fabbisogni del  sistema produttivo. Il tema del raccordo tra i sistemi educativi e formativi e l’evoluzione del mercato del lavoro continua ad essere colpevolmente trascurato e persino osteggiato da una parte non marginale del personale  docente delle scuole secondarie superiorie delle Università. Sconta anche  l’assenza di un protagonismo attivo delle associazioni imprenditoriali e delle parti sociali che dovrebbero assumere un ruolo primario nella definizione dei fabbisogni e degli strumenti finalizzati a favorire i percorsi di inserimento lavorativo qualificati. Nelle condizioni attuali il nostro sistema produttivo non riscontra una disponibilità adeguata di personale professionalizzato per gestire le innovazioni tecnologiche e organizzative ma  fornisce paradossalmente una quota non marginale di  giovani diplomati e laureati ai  mercati del lavoro di altri paesi che soddisfano i loro fabbisogni con gli investimenti formativi sovvenzionati dai contribuenti italiani.

Le imprese non trovano lavoratori, si riduce la popolazione in età di lavoro, le risorse per gli investimenti pubblici e privati sono superiori alla nostra capacità di utilizzarle. Ma a tener banco a furor di popolo, e con il consenso dei mass media, è  la richiesta di  sovvenzionare i redditi delle famiglie da  parte dello stato aumentando il debito pubblico. Una deriva contraria al buon senso, ma che purtroppo viene assecondata da una parte rilevante della classe dirigente politica e sindacale. La capacità di contrastare questa deriva deve diventare la cifra delle iniziative dei riformatori.

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