Articolo di Pietro Giubilo – Responsabile Roma Europea – Ripensiamo Roma
Il processo di unificazione politica dell’Europa, sancito dai trattati iniziali firmati a Roma nel 1957, ha rappresentato, a metà del secolo scorso, l’evento e la prospettiva storicamente più importanti per i rapporti internazionali. Il popolarismo europeo ebbe la lungimiranza e diede l’impulso per una svolta che pose fine a secoli di rivalità e tragici eventi bellici nel Continente.
Non si può non rilevare, tuttavia, che rispetto alle attese iniziali il percorso dell’unità dell’Europa si sia sviluppato soprattutto nel campo economico, mentre a livello politico tante sono state le occasioni perdute: dal fallimento della Comunità Europea di Difesa, sostenuta fino all’ultimo da De Gasperi, alla bocciatura della Costituzione europea per gli esiti dei due referendum in Francia e Olanda, fino all’ancora ridotto ruolo del Parlamento europeo, con la prevalenza del potere sostanziale del Consiglio europeo, cioè di un organismo intergovernativo.
Dal 1963, con il Trattato dell’Eliseo, quello tra Francia e Germania è stato l’asse politico sul quale è andato avanti il progetto europeo. Per la verità non tutto è andato per il verso giusto, in quanto sono emerse placche ed aree di influenza – ad esempio i cosiddetti “paesi rigorosi del nord” o “il nazionalismo degli stati dell’Est” – piuttosto che un cammino verso l’integrazione. L’Italia, in qualche modo, ne ha fatto le spese e, pur rimanendo la più fedele interprete dello spirito e della via verso il federalismo, ha dovuto subire una sorta di cordone di diffidenza, difendendo con fatica il nostro ruolo e gli interessi connessi.
Il Trattato tra Parigi e Berlino e l’asse politico che ne è derivato ha avuto l’effetto di avvantaggiare entrambi nei propri ambiti e strategie preferenziali, indirizzando l’Europa sulla via dell’allargamento piuttosto che realizzando formule di integrazione. La Francia ha mantenuto, senza condivisione con gli altri partner europei, il suo ruolo strategico che le deriva dal possesso del nucleare bellico e del seggio nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania ha accresciuto l’influenza ad est ed il peso economico produttivo che le regole economiche e finanziarie hanno favorito, giungendo, ad esempio, solo tardivamente a sostenere la emissione di bond europei per la condivisione del debito, da tempo sostenuta dall’Italia. I recenti accordi per il PNRR, comunque, sono stati un successo anche se raggiunto faticosamente.
Rispetto a questo sviluppo storico, il Trattato del Quirinale potrebbe rappresentare l’inizio di un cambiamento di prospettiva. Se si configurerà come “una assicurazione contro la pressione tedesca”, cioè un diverso bilanciamento dei pesi politici specifici nel Continente, come avverte Carlo Pelanda, ciò non cambierebbe sostanzialmente il modello nel quale si è incastrato il progetto europeo. Occorrerebbe infatti anche ciò che ha sostenuto Giulio Sapelli e cioè un “partenariato simile con la Germania”, con un riequilibrio complessivo per un ritorno ad una visione comune, nella quale gli “assi” dovrebbero convergere. In definitiva e facendo un passo ulteriore: ad una politica estera e di difesa comuni come era negli auspici iniziali, prima degli stessi trattati economici istitutivi.
Nell’immediato il Trattato firmato nel prestigioso Colle del Quirinale, per dimostrare la sua efficacia dovrebbe determinare un diverso clima di rapporti in numerose “partite” che riguardano i settori imprenditoriali della sicurezza (aereo e navale) e delle telecomunicazioni oltre che i problemi energetici nel territorio libico. L’intesa firmata in contemporanea tra i ministri Vittorio Colao e Bruno Le Maire per lo sviluppo dei lanciatori di missili è già un segnale positivo. In tali vicende negli anni passati Parigi non si è sempre comportata bene nei confronti dell’Italia. Ha sviluppato a suo tempo con Sarkozy una politica mediterranea ostile verso i nostri interessi. Il Trattato, poi, potrà aiutare ad affrontare problemi comuni di mancanza di politica solidale del resto dell’Europa, pensiamo all’immigrazione e alla libertà di circolazione delle persone, che potrebbero essere gestiti con più forza risolutiva.
Il commento del Presidente Sergio Mattarella (“Rafforziamo l’Europa”) non può essere derubricato a espressione di circostanza poiché la logica virtuosa dei trattati bilaterali non può che indicare la strada di una crescita complessiva della coesione politica. In quanto al Presidente Emmanuel Macron ha parlato di “casa italo-francese”, di “ambizione comune per il progetto europeo” e di creazione di “una visione geopolitica comune”, non mancando un riferimento ad una “difesa comune più forte che contribuisca alla NATO”, concetti nei quali si riconosce sia il filo della specifica visione francese dell’Europa, sia qualche passo in avanti nella logica atlantista, dopo la cocente delusione per la vicenda dei sottomarini australiani.
Non vi è dubbio che il commento di Mario Draghi appare il più appropriato in quanto interpreta il Trattato come volto a “favorire e accelerare il processo di integrazione europea”, riferendosi esplicitamente, con un rilancio negli investimenti sui settori dei semiconduttori, la transazione digitale ed energetica, all’obbiettivo della “costituzione di una vera difesa europea”. La questione pluridecennale della difesa europea deve tornare ad essere un progetto ed una opportunità politica ed è ovvio che possa comportare asset imprenditoriali e di coordinamento progettuale, che, però, non ne possono rappresentare la vera priorità o il malcelato interesse.
In buona sostanza il premier italiano ha inquadrato l’accordo nella piena prospettiva della costruzione europea: “dobbiamo dotare l’Unione europea di strumenti che siano compatibili con le nostre ambizioni e le aspettative dei nostri cittadini”, concludendo che” il trattato segna l’inizio di questo percorso”. Una nota ed una attenzione in più per le attese popolari.
Il Trattato del Quirinale entrerà in vigore con la ratifica dei due parlamenti, un passaggio che non dovrà trasformarsi in un mero scontro tra sovranisti ed europeisti; in quella sede si dovrà recuperare l’assenza di comunicazione e di confronto della fase preparatoria. Le forze politiche in Italia dovrebbero cogliere l’occasione per un dibattito che sappia individuare quel percorso politico riformista che inquadri il contesto geopolitico del Trattato e ciò che nell’attuale assetto delle istituzioni europee debba essere migliorato a fronte di una evoluzione dei rapporti internazionali nei quali, con la globalizzazione, si sono affacciati nuovi poteri, diseguaglianze sociali, crisi di vaste aree geografiche ed una forte finanziarizzazione dell’economia, tutti aspetti che chiamano in campo una più necessaria robustezza delle istituzioni democratiche e, soprattutto, una capacità di rappresentanza ed una partecipazione popolare più vaste. Pensiamo alla competenza del Parlamento europeo e ad una eventuale elezione popolare diretta del Presidente della commissione.
Nella suddetta circostanza occorrerà avere consapevolezza e capacità di risposta alle sfide che ci si aprono davanti, oggi accentuate dalla ostinata crisi pandemica. E dimostrarlo. Soprattutto nell’articolato atteggiamento del centrodestra sull’Europa per il quale i popolari europei dovranno fare opera di chiarimento e convincimento virtuoso nei confronti degli altri partner politici.
Pietro Giubilo