Come funziona il mercato elettrico e perché servono impianti e infrastrutture per la sovranità energetica

Articolo di Silvano Mattioli – Responsabile tematico, Smart city, Innovazione, Energia di Ripensiamo Roma – 1 settembre 2022

In molti si domandano come rallentare la crescita dei costi dell’energia in salita verticale nell’ultimo periodo.

Si susseguono, uno dopo l’altro, i record dei costi del chilowattora ma perché accade?

Per comprenderlo partiamo dalla bolletta che ogni 2 mesi ci giunge puntualissima a casa e che è composta di 5 parti principali:

  1. Una componente di energia: la vera energia che utilizziamo
  2. Un costo per il contatore e la e per la potenza disponibile
  3. Una componente per consentire alla rete di funzionare (dispacciamento)
  4. Gli oneri di sistema e l’incentivazione alle fonti rinnovabili
  5. Una quota di tasse.

La componente che sta esplodendo è la prima, la “Quota Energia”, che è più che decuplicata: come rappresentato nel grafico seguente la quota energia è passata da un costo di 60.71€/MWh medi nel gennaio 2021 a un costo di 718€/MWh medi giornalieri registrato il 26 Agosto del 2022 con picchi oltre gli 800€/MWh.

(Fonte GME)

Il governo è intervenuto per azzerare la componente in bolletta degli oneri di sistema, rafforzare il BONUS GAS ed il BONUS ENERGIA per le famiglie a rischio, ossia quelle con ISEE inferiore a 12.000€ o inferiore a 20.000€ per famiglie con 4 figli.

Queste misure palliative sembrano sempre più insufficienti visto che le componenti IVA e di oneri diventano sempre più residuali in bolletta rispetto al macigno del costo del GAS.

Anche a livello europeo il costo dell’energia, da sempre più alto in Italia per una serie di motivi che tratteremo in altra sede, è in crescita verticale.

Analizzando il trend riportato nel grafico, ci fa riflettere il comportamento opposto dell’Italia rispetto alla Spagna!

C’è da chiedersi perché due nazioni molto simili in quanto sostanzialmente prive di fonti energetiche, abbiano prezzi in borsa dell’energia elettrica così diversi.

(Fonte IndexMund.com)

E’ noto che il MIX energetico spagnolo comprende la produzione di energia anche da centrali nucleari e da impianti ad energia rinnovabile. Anche focalizzandosi solo sulla produzione di energia da gas si individuano notevoli differenze in termini di numero e di impianti di approvvigionamento del combustibile. Infatti:

  • In Italia utilizziamo 3 rigassificatori per un totale di capacità di conversione pari a circa 15.25 mld di standard metri cubi di gas/annui, pari al 20% del consumo nazionale (rif. 2020). Inoltre, riceviamo il gas attraverso metanodotti che ci collegano con le fonti di produzione in Grecia, in Libia e in Tunisia, dalla Russia tramite i metanodotti che attraversano l’Ucraina e dalla Norvegia tramite i metanodotti che attraversano la Germania.
  • In Spagna sono in funzione 6 rigassificatori per un totale di circa 60 miliardi di smc di gas/annui pari al 190% del consumo nazionale: in caso di problemi gli spagnoli possono contare sulla ridondanza degli impianti e porre rimedio a eventuali guasti di gasdotti o altri impianti senza problemi.

Purtroppo, in Italia per costruire un rigassificatore ci vogliono 12 anni: 1-2 per costruirlo e 10 per le carte bollate e gli innumerevoli ricorsi dei NIMBY e di chi si rifiuta di avere l’opera nel suo territorio.

Per questo siamo in carenza di impianti e non possiamo disporre di una efficiente ed efficace linea di alimentazione alternativa.

La Spagna, con le sue attrezzature, potrebbe esportare il gas in mezza Europa se esistesse un collegamento significativo con la Francia o con l’Italia, noi a malapena riusciamo a soddisfare la nostra domanda.

Ecco perché la Spagna riesce a contenere i costi e diversificare gli acquisti nel mondo e invece l’Italia soffre di un aumento smisurato del costo di tale combustibile.

Parliamo tanto di indipendenza energetica ma non siamo in grado di essere davvero indipendenti perché non riusciamo a trovare territori disponibili ad installare impianti e manteniamo non operative le piattaforme di estrazione presenti nel nostro tratto di mare Adriatico.

Però continuiamo a piangere contro il governo e allo stesso tempo a criticare chi lavora per estrarre e immettere in rete il gas.

Abbiamo posizioni ottocentesche, con timori sostanzialmente infondati verso il Metano.

Ma questo non è il solo problema.

Abbiamo sentito spesso parlare di modificare il mercato elettrico italiano, soprattutto la formazione del prezzo. In Italia il costo dell’energia si forma nella borsa elettrica dove una buona quota di elettricità viene scambiata.

La restante parte o proviene da oltre frontiera o viene ceduto su contratti che non passano in borsa, detti OTC.

La formazione del prezzo avviene sul mercato incrociando domanda e offerta.

Il problema è che l’incrocio non avviene in una contrattazione in tempo reale ma in un modo diverso.

Nel grafico seguente è rappresentata la curva dell’offerta in borsa per un orario diurno:

Dopo le 19, in assenza di sole, la curva peggiora e tende a diventare più cara spostando la linea verde verso sinistra (e innalzando i prezzi).

In questo grafico i valori “PUN” e la “Qta” sono rispettivamente il PREZZO UNICO NAZIONALE e la quantità accettata decisa dalla Borsa Elettrica.

Tutte le offerte inferiori al PUN sono accettate (ogni ora) fino al raggiungimento della Qta.

Il prezzo di remunerazione di queste offerte è sempre pari al PUN a prescindere dal valore indicato in offerta di vendita.

Pertanto, se un operatore vendesse la propria energia a 0€ riceverebbe una rendita detta “rendita inframarginale” pari al PUN comunque.

La logica corretta sarebbe che chi si può permettere rendite inframarginali, operi investimenti crescenti tali da permettere con continuità l’abbassamento dei prezzi.

Quello che sta accadendo, invece, a causa della crescita smisurata del prezzo del gas, è che il prezzo del gas governa la borsa e si fissa su di esso.

Quindi, tutti coloro che hanno impianti efficienti anche se offrono a minor importo, guadagnano in funzione dei rialzi del prezzo del gas generato dai giochi di borsa. Il prezzo finale che viene determinato alla fine delle contrattazioni, vale come prezzo di vendita per tutti.

         29/8/2022 vs 29/1/2021 (Fonte GME)

Va ricordato, invece, che solo due anni fa, in piena pandemia accadeva l’esatto contrario, i prezzi del gas erano molto bassi e chi aveva impianti moderni non riusciva a coprire i costi, con il PUN.

Soluzioni? La scelta non è semplice perché le varie opzioni che si possono prendere in considerazione hanno pregi e difetti. Ma non c’è dubbio il tema richiede una soluzione veloce per interrompere speculazioni e ingiustizie.

Una prima modifica potrebbe riguardare il meccanismo di accettazione dei costi, imponendo a chi vende il prezzo indicato in fase di offerta. Di contro però, questo renderebbe meno convenienti gli impianti che normalmente lavorano nelle zone di punta, quando cioè le altre tipologie di impianto (ad esempio il fotovoltaico) non è in grado di produrre energia.

Una seconda possibilità potrebbe essere la separazione dei mercati per tipologia. Da un lato si potrebbe continuare con il solo mercato delle energie rinnovabili (che di solito sono remunerate a prezzo imposto), inserendo un price-cap ossia un tetto al prezzo di remunerazione dell’energia, dall’altro creare un mercato specifico per le fonti fossili che sono le più costose anche in termini ambientali.

Questa seconda ipotesi, però, potrebbe scoraggiare la creazione di nuovi impianti. Infatti, se il costo dell’energia è alto i consumatori sono propensi a costruire impianti per soddisfare la propria domanda a costi inferiori quando è possibile.

Una opzione che potrebbe risolvere la situazione, ma che presenta delle incognite è rateizzare i pagamenti nel tempo.

La tecnica è abbastanza semplice.

Si impone un costo costante all’energia e tutto ciò che va sopra il costo base è addebitato con interesse.

Quando il costo sarà inferiore alla rata imposta si provvederà a ripagare il debito e gli interessi.

Bisogna scegliere un importo che sia significativo nel tempo e non sia troppo basso, altrimenti i costi dei debiti accumulati esploderebbero.

C’è da sottolineare che qualunque strada si decida di percorrere occorrono comunque nuovi impianti e moderne tecnologie. Ma, come già detto, si deve constatare la totale indisponibilità dei territori ad accoglierli anche in cambio di benefits e vantaggi economici.

Ripensiamo Roma ha una proposta per la nostra regione.

Esiste il bel porto di Civitavecchia, attualmente molto sotto-utilizzato:

lo candidiamo

come alternativa a Piombino dove il sindaco ha espresso parere negativo.

Il nuovo insediamento, con i suoi impianti principali (da costruire e gestire) e tutte le attività indotte, porteranno nella zona investimenti e lavoro.

Non è un’idea nuova; già in passato era stata proposta la costruzione di un impianto in quell’area, perché vicino sia alle centrali Enel di Montalto a ciclo combinato sia a quelle di Civitavecchia da riconvertire, eventualmente espandendo la rete di metanodotti italiani di qualche decina di chilometri, nulla di impossibile, carte bollate a parte…

Concludendo, osserviamo anche che un simile metodo è usato in Spagna e Portogallo dove esiste un tetto al prezzo del gas di circa 50€/MWh definito con l’UE. La differenza con il prezzo di mercato viene conteggiata a consuntivo e si evidenzia nella contabilità generale annuale.

Spagna e Portogallo quest’anno pagheranno 8,4 miliardi di euro alle aziende energetiche per coprire la differenza tra il tetto e il prezzo di mercato. È evidente che con tale metodo la voce di spesa deve essere mantenuta sostenibile dallo Stato. E questo è possibile solo se si ha una dipendenza marginale dal gas.

Ing. Silvano Mattioli

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