Articolo di Donato Bonanni, Presidente di Ripensiamo Roma, pubblicato su “L’Opinione delle Libertà” il 16 ottobre 2023.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito alle grandi trasformazioni tecnologiche che hanno migliorato la qualità della vita delle persone. Queste ultime possono, attraverso Internet e i relativi dispositivi, lavorare in modalità “smart working”, studiare e partecipare alle riunioni, condividere i dati, acquistare i prodotti, muoversi meglio in città e ricevere servizi smart ed efficienti. Le tecnologie digitali hanno, però, una capacità d’influenza sugli uomini al punto da cambiarne i comportamenti a seconda delle categorie di appartenenza. Definiti dal ricercatore statunitense Marc Prensky, i “nativi digitali” (nati dopo il 1995) sono cresciuti assieme ai vari dispositivi e vivono la tecnologia come se fosse la loro lingua madre, gli “immigrati digitali” (nati tra gli anni Settanta e Ottanta) considerano la tecnologia come una lingua straniera da apprendere. L’elemento che li distingue è la pervasività (o meno) delle tecnologie all’interno delle loro vite. In particolare, questi strumenti digitali rappresentano una grande opportunità per i nativi digitali, i quali possono contare sull’aiuto del web e delle piattaforme per numerose attività scolastiche. Eppure ci sono molti rischi che attenagliano questa generazione.
Tra questi, il più preoccupante è la dipendenza da Internet e dai social network, disturbo di cui soffrono oltre 300mila ragazzi italiani, che diventano schiavi del proprio cellulare. È altrettanto allarmante il problema della perdita di contatti e di relazioni sociali a vantaggio di quelle virtuali. Molti ragazzi preferiscono isolarsi dal mondo esterno e vivere in un mondo irreale dove tutto appare molto più facile. Poi, alcuni giovani trascorrono la maggior parte del loro tempo (più di otto ore al giorno) sui videogame: il loro uso eccessivo può compromettere la capacità di apprendimento e di concentrazione, e causare disturbi del sonno e della personalità. Tra i problemi legati a Internet e ai social network c’è inoltre il cyberbullismo. Questi strumenti, infatti, si sono rivelati delle armi usate dai bulli per compiere atti di violenza subdola sui coetanei, che il più delle volte sfociano in tentativi di suicidio. Come si spiega tutto questo?
L’adolescenza è una fase delicata della vita, dove il ragazzo si trova immerso in una “società liquida” (quest’ultima espressione è stata usata dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman) senza solidi punti di riferimento e princìpi valoriali fondamentali per il suo sano sviluppo psicologico. Dominati da un’immaturità personale, che il più delle volte è conseguenza di una scarsa autorevolezza e di scelte educative troppo tolleranti dei genitori, l’unica strada possibile per la maggior parte dei ragazzi è una fuga dal futuro, un rinnegamento della realtà che porta al rifugio virtuale nel mondo delle tecnologie digitali, con un utilizzo spropositato e non consapevole delle stesse. Ne deriva un disagio psicologico devastante che si accompagna a comportamenti aggressivi e violenti, all’uso di sostanze psicoattive e alcool e a tante altre forme di disagio giovanile. Di fronte a questi fenomeni sociali difficili e complessi, la scuola rappresenta uno dei principali contesti per lo sviluppo della persona, sia in quanto istituzione preposta alla formazione e al trasferimento delle conoscenze, sia in quanto luogo “positivo” di aggregazione sociale.
In particolare, l’istituto scolastico è chiamato a perseguire l’azione di educazione alla cittadinanza attiva dei ragazzi, favorendo anche una maggiore consapevolezza sui rischi connessi all’uso del web e dei dispositivi (come il pc, il cellulare e il tablet) e promuovendo le relative regole di comportamento. La scuola, però, non può da sola contrastare il bullismo e il cyberbullismo, dal momento che queste piaghe sociali si manifestano anche in contesti di aggregazione giovanile extrascolastici. Ecco perché è necessario restituire alla famiglia (come ci ricorda anche l’articolo 30 della Costituzione, diritti e doveri dei genitori) la funzione di agenzia educativa primaria accompagnata dall’obbligo di “aggiornamento” a fronte della società dell’informazione. Le tecnologie digitali sono una grande risorsa per il mondo del lavoro e delle imprese, per la formazione scolastica e universitaria, per i servizi essenziali (e secondari) delle città e per la vita di tutti i giorni. Gli adolescenti, però, devono saper cogliere il meglio dalla tecnologia, sfruttarla per accrescere la propria cultura e utilizzarla in modo consapevole dietro il supporto fondamentale dei gruppi sociali primari, come la scuola e la famiglia. Internet e i social network non sono strumenti da demonizzare, ma da saper governare.
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