Articolo di Donato Bonanni, Presidente di Ripensiamo Roma, pubblicato il 20 ottobre 2023 su “L’Opinione delle Libertà”.
La partecipazione dei lavoratori alla gestione, ai risultati e ai profitti delle imprese è un tema che negli anni ha acquistato nuova forza nel contesto europeo e impulso anche a livello di legislazioni nazionali.
La diffusione di schemi partecipativi è considerata uno strumento innovativo delle relazioni industriali in una logica di fidelizzazione dei lavoratori all’impresa e di crescita della produttività. In Europa, varie forme di partecipazione sono operative da decenni e sulla base di queste esperienze l’Unione europea ha emanato nel 2001 un regolamento dedicato a questo tema. In Italia, si è discusso saltuariamente di partecipazione dei lavoratori a causa della coesistenza nel sistema delle relazioni industriali di culture antagoniste di una parte importante del sindacato e della sinistra politica, come d’altronde della netta chiusura delle stesse imprese. Per tale ragione, le illuminanti intuizioni dei Costituenti sulla necessità della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, indicata nell’articolo 46 della Costituzione, furono disastrosamente disattese dall’inizio dell’esperienza repubblicana. Questa avversione è poi risultata ancora più odiosa ed ingiustificabile dopo l’adozione in Germania del modello partecipativo co-gestionale “Mitbestimmung”, già negli anni Cinquanta, e poi di quello francese nella prima decade del terzo millennio. Dunque, nemmeno le esperienze positive e innovative delle più grandi economie industriali del mondo (che si rifanno all’economia sociale di mercato) sono riuscite a convincere i conservatori di sinistra e quelli del mondo produttivo italiano a cambiare verso.
Negli ultimi anni, però, qualcosa si sta muovendo nell’ambito dello sviluppo delle buone pratiche di partecipazione. Basti pensare alle prime misure legislative del 2008 relative alla detassazione e decontribuzione dei premi di risultato; al “Patto per la fabbrica” del 2018, sottoscritto tra le tre Confederazioni sindacali e Confindustria, in materia di partecipazione organizzativa; agli interventi significativi in diversi contratti collettivi, dove si prevedono, tra l’altro, organi paritetici per numerose funzioni dell’organizzazione del lavoro e, da ultimo, all’innovativa proposta di legge, di iniziativa popolare, della Cisl per il sostegno e la promozione della partecipazione economica, finanziaria e gestionale in tutte le forme societarie e in tutti gli enti pubblici e privati.
Ma perché è così indispensabile la partecipazione dei lavoratori alla vita, agli utili e all’organizzazione delle imprese? Se nel sistema produttivo fordista la partecipazione poteva considerarsi un corpo estraneo (a causa del non superamento della contrapposizione fra capitale e lavoro), nella quarta rivoluzione industriale le condizioni oggettive sono più favorevoli. Le innovazioni produttive e organizzative, soprattutto quelle ottenute attraverso le tecnologie dell’informazione, hanno accentuato la diversificazione dei lavori rispetto al modello fordista e l’attitudine delle imprese a modellarsi in funzione delle esigenze di flessibilità sollecitate dal mutare dei modelli di consumo e dalla stessa competizione globale. Pertanto, le accresciute esigenze di qualità e il contenimento dei costi a fronte della competizione globale, spingono, da una parte, le imprese a mettere al centro il coinvolgimento dei lavoratori e, dall’altra, le organizzazioni sindacali ad abbandonare le logiche conflittuali e ideologiche per impegnarsi con le stesse imprese a percorrere la strada verso la modernizzazione delle relazioni industriali in senso partecipativo.
L’apertura di spazi partecipativi risponde a bisogni profondi di valorizzazione del lavoro e della centralità e crescita della persona e contribuisce a rafforzare la fidelizzazione dei collaboratori alla gestione aziendale, a ridurre i conflitti tra capitale e lavoro, ad aumentare la produttività, la competitività, la redditività delle imprese, a migliorare la qualità e la quantità del lavoro con effetti positivi sulla motivazione e soddisfazione personale, diventando un esempio eccellente di politica aziendale e uno strumento di redistribuzione della ricchezza.
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